giovedì 29 agosto 2013

Il Governo e la salvaguardia degli Asset strategici

Il decreto-legge num. 21 del 2012 (approvato nel maggio dello stesso anno) disciplina le norme nazionali in materia di poteri speciali dello Stato per quanto riguarda determinati "asset" societari in settori chiave dell'economia.
Vale la pena approfondire tale nuova normativa, vista la delicatezza del tema e i contrasti a livello europeo.

Questo tipo di provvedimenti si colloca nell'ambito della c.d. golden share, ossia in relazione ai diritti speciali che vantava lo Stato-azionista nei processi di privatizzazione; in questo caso però non si tratta di liberalizzazioni o privatizzazioni, ma in particolare dei poteri speciali che detiene ancora oggi lo Stato in qualità di azionista di alcune società chiave (Eni, Enel ecc.), nonché di poteri "potenzialmente esercitabili" nel caso di società private (anche non partecipate dallo Stato) ma di interesse strategico.
Tali poteri gli consentono una notevole influenza nella gestione e in alcune decisioni chiave relative a tali società, pur mantenendo una percentuale di controllo non totalitaria o nulla. 
I poteri speciali di cui si parla sono in generale (li vedremo nel dettaglio più in basso): la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazioni (scalate esterne).
La disciplina previgente era regolata dal dl 332/1994 (e successive modificazioni/integrazioni), oggetto di forti critiche e contenziosi a livello europeo e ora modificato notevolmente dal dl in questione.

Per quanto concerne i settori della Difesa e della Sicurezza nazionale, sarà compito del Governo individuare le attività strategiche chiave verso cui esercitare i poteri speciali
La prima differenza rispetto a prima sta proprio nel fatto che le impresa potenzialmente coinvolte non sono più solo le società appena privatizzate, ma tutti gli enti.
Viene poi detto che l'esercizio di tali poteri deve essere subordinato all'esistenza di una minaccia di grave pregiudizio per tali settori, identificando tre poteri principali:
  1. opposizione all'acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in un'impresa che svolge attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, enti pubblici italiani o soggetti da questi controllati.
    Il potere è attivabile qualora l'acquirente venga a detenere, direttamente o indirettamente, anche attraverso acquisizioni successive, per interposta persona o tramite soggetti altrimenti collegati, un livello della partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.
     
  2. veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o, comunque, di particolare rilevanza.
     
  3. imposizione di specifiche condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle informazioni, ai trasferimenti tecnologici, al controllo delle esportazioni, nel caso di acquisto a qualsiasi titolo di partecipazioni in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale.
     
Al fine di valutare se da tali delibere può derivare una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi della sicurezza nazionale, il Governo deve considerare, tenendo conto dell'oggetto della delibera:
  • la rilevanza strategica dei beni o delle imprese oggetto di trasferimento;
  • l'idoneità dell'assetto risultante dalla delibera o dall'operazione a garantire l'integrità del sistema di difesa e sicurezza nazionale, la sicurezza delle informazioni relative alla difesa militare, gli interessi internazionali dello Stato, la protezione del territorio nazionale, delle infrastrutture critiche e strategiche e delle frontiere;
  • gli ulteriori elementi indicati al comma 3 dell’articolo in esame, ovvero gli elementi necessari a valutare se una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale possa derivare dall’acquisto di partecipazioni in imprese del relativo comparto.
Oltre a questa valutazione, il Governo deve anche esaminare alla luce della potenziale influenza dell'acquirente sulla società, anche in ragione della entità della partecipazione acquisita, i seguenti elementi:
  • l'adeguatezza tenuto conto anche delle modalità di finanziamento dell'acquisizione, della capacità economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente nonché del progetto industriale in riferimento ai seguenti aspetti: regolare prosecuzione delle attività; mantenimento del patrimonio tecnologico, anche con riferimento alle attività strategiche chiave; sicurezza e alla continuità degli approvvigionamenti; corretta e puntuale esecuzione degli obblighi contrattuali assunti nei confronti di pubbliche amministrazioni, direttamente o indirettamente, dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di acquisizione, con specifico riguardo ai rapportirelativi alla difesa nazionale, all'ordine pubblico e alla sicurezza nazionale.
  • l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello Stato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o che hanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunità internazionale desunti dalla natura delle loro alleanze o hanno rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti adesse comunque collegati.


Per quanto riguarda il settore dell' energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni, sarà il Governo ad individuare reti, impianti e beni considerati di rilevanza strategica in tali settori.
Non viene però data nessuna indicazione sui criteri da adottare per considerare o meno determinati assets come strategici.

A seguito di  qualsiasi delibera, atto o operazione, adottata da una società che detiene uno o più degli attivi “strategici”che abbia i seguenti effetti
  •  modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi; 
  • cambiamento della loro destinazione, comprese le delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società; 
  • trasferimento all'estero della sede sociale; trasferimento dell'azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l'assegnazione degli stessi a titolo di garanzia; 
  • mutamento dell’oggetto sociale; 
  • scioglimento della società; 
  • modifica di clausole statutarie eventualmente adottate ai sensi dell’articolo 2351, terzo comma, del codice civile - l’introduzione di limiti al diritto di voto condizionati al raggiungimento di una misura massima di possesso azionario -, ovvero introdotte ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 332 del 1994 - limite massimo di possesso azionario pari al 5 per cento -). 
...In tali casi il potere di veto è esercitabile a patto che ci sia una minaccia di grave pregiudizio (come sopra).

Nel caso di acquisto/interessamento da parte di un soggetto esterno all'UE (cioè qualsiasi persona fisica o giuridica che non abbia la residenza, la dimora abituale, la sede legale o dell'amministrazione ovvero il centro di attività principale in uno Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo, o che non sia comunque ivi stabilito), condizione per l’esercizio del potere è che l’acquisto comporti una minaccia di grave pregiudizio agli interessi essenziali (come negli altri casi), però in tali casi l'esecutivo può:
  • condizionare l'efficacia dell'acquisto all'assunzione, da parte dell'acquirente, diimpegni diretti a garantire la tutela degli interessi relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti;
  • in casi eccezionali di rischio per la tutela dei predetti interessi, non eliminabiliattraverso l'assunzione dei predetti impegni, opporsi all'acquisto sulla basedella stessa procedura.
Successivamente sono elencati anche i criteri per l'utilizzo dei poteri speciali, due in totale:
  1. tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, l'esistenza dimotivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fral'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o delloStato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o chehanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunitàinternazionale desunti dalla natura delle loro alleanze o hanno rapporti conorganizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque collegati;
  2. l'idoneità dell'assetto risultante dall'atto giuridico o dall'operazione, tenutoconto anche delle modalità di finanziamento dell'acquisizione e della capacitàeconomica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente, a garantire: a) la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti; b) il mantenimento, la sicurezza e l'operatività delle reti e degli impianti.

Conclusioni

Qui i giudizi dipendono molto dalle concezioni di partenza: se riteniamo che lo Stato debba mantenere una certa partecipazione minima (o forte regolazione) in determinati settori chiave (per es. Snam - rete gas-, Terna - rete elettrica-, Eni -estrazione e raffinazione-, Finmeccanica -difesa-, ecc.) allora non possiamo che essere favorevoli a queste restrizioni "potenziali" che lo Stato può vantare in determinati casi, proprio perché prendiamo come punto di riferimento il fatto che tali aziende/enti non devono essere trattati come semplici società e devono perciò rientrare in un regime speciale che non sottostà alle classiche regole in tema di scalate azionarie e struttura societaria (in quanto aziende che si occupano di reti o settori "delicati"). 
Viceversa è evidente che tale provvedimento non verrà probabilmente molto apprezzato.
Io personalmente mi ritrovo nel primo gruppo; tuttavia ammetto che rispetto al fatto del controllo/partecipazione pubblica nonché ai casi che ho elencato (Snam, Terna ecc.), dove mi sembra che tale approccio sia in parte più condivisibile, sarà molto più probabile che le liti con l'UE, riguardo la genericità dei criteri e requisiti di tali poteri, continuino. Anche perché ad eccezione dei casi di forte concentrazione di quote di mercato sarà sicuramente difficile provare il rischio di grave pregiudizio (se proprio non stiamo parlando dell'acquisizione cinese di Eni), per cui saremo nuovamente esposti a critiche della Commissione.
Tali critiche dovrebbero farci riflettere sulla nostra struttura economica e sul mercato comune: infatti sia noi sia altri paesi europei (Francia e Germania in primis) condividono una notevole presenza pubblica nell'economia, presenza che contrasta direttamente o indirettamente i principi liberisti su cui si basa il mercato unico; il bello di tutto ciò è che nell'ottica europea tali "golden share" o simili sono effettivamente pregiudizievoli del libero mercato, per cui è il caso di chiedersi se sia sensato andare oltre, lasciandoci indietro retaggi di intervento pubblico di questo tipo, o arrestarsi un attimo per capire verso quale direzione convogliare il mercato unico. 
Ovviamente si tratta di spunti teorici, che approfondiremo alla prima occasione in cui esamineremo diseguaglianze e inefficienze nell'Unione Monetaria.
















sabato 17 agosto 2013

Scorporo della Rete Telecom

Nell'ultimo periodo sono circolate molte informazioni riguardo una possibile separazione della società Telecom Italia Spa dalla Rete di trasmissione/comunicazione nazionale che ora controlla.
Vediamo di che si tratta con un primo sguardo introduttivo e un successivo approfondimento.

Breve riassunto...
Dopo le varie indiscrezioni trapelate nei mesi estivi il primo fatto concreto degno di nota risale al 30 maggio, quando Telecom inviò una prima bozza preliminare di scorporo all' AGCOM (il Garante per le telecomunicazioni) per ottenerne un parere sulla fattibilità e correttezza.
Il 25 luglio l' AGCOM dà il suo assenso, concedendo il via libera a Telecom affinché integri il dossier con la decisione di scorporo ed effettui le necessarie analisi di mercato.
A questo punto ogni decisione ulteriore è rimandata a settembre, finché non verranno acquisite tutte le informazioni e attuate tutte le procedure di legge necessarie.

Di cosa si tratta?
Il c.d. scorporo della Rete non è altro che una semplice separazione tra il proprietario della Rete e chi la gestisce. In particolare nell'attuale situazione vediamo che il proprietario (Telecom Italia) è anche il gestore del servizio ed è quindi presente un classico caso di monopolio di impresa, più nello specifico un "monopolio naturale/di rete", cioè una situazione in cui la presenza di una singola impresa che possiede la rete è più EFFICIENTE di un contesto di concorrenza tra aziende.
Nel caso in dettaglio dovrebbe trattarsi di un trasferimento in una nuova società della sola parte di rete non replicabile, cioè il c.d. ultimo miglio, ossia la tratta di rete che raggiunge gli utenti finali e che in Italia è coperta tramite doppino in rame (che garantisce prestazioni scarse), eccezion fatta per alcune città dove Fastweb ha adottato connessioni finali in fibra ottica (Torino compresa). All'interno di questa parte di rete, lo scorporo riguarderebbe i sistemi passivi (cavi, permutatori, canaline) e attivi (quelli per la fornitura dei servizi TLC), entrambi per la parte in fibra, mentre per quella in rame i sistemi attivi rimarrebbero a Telecom.

Come mai ciò?
Per il semplice fatto che la rete in questione non si può replicare per via dell'enorme e inutile dispendio di risorse, inoltre il suo frazionamento in "sotto-reti" o simili porterebbe notevoli complicazioni nella gestione del servizio e nell'accessibilità tra operatori che potrebbero vantare il loro potere di mercato su un determinato tratto/zona per chiedere condizioni più vantaggiose (un esempio macro: il gas russo che transita negli oleodotti ucraini permette all'Ucraina di mantenere una forte posizione di potere nelle trattative russe sul prezzo, portando a situazioni anche estreme dove però a farne le spese saranno gli utenti finali).

Qualcosa su Telecom...
Telecom Italia Spa ha attualmente una posizione di "incumbent" nel mercato delle TLC, perché pur essendo stato liberalizzato tale settore mantiene una notevole quota di mercato, molto più alta delle altre aziende incumbent europee: nei servizi di accesso a banda larga è passata dal 70% del 2004 al 50% del 2012, un dato comunque superiore alle altre esperienze europee che dimostra la lenta gradualità del ridimensionamento della quota di mercato.
Per quanto riguarda la società in se vi è un azionista di maggioranza frutto di un patto parasociale, il consorzio Telco, che possiede il 22,39%, vi è Findim Group di Marco Fossati, che possiede il 4,99%, e la restante parte è frazionata sul mercato. Nel dettaglio, Telco è partecipata al 46,18% da Telefonica, al 11,62% da Intesa San Paolo, al 30,58% da Generali Assicurazioni, al 11,62% da Mediobanca.

Quadro normativo
Attualmente la Direttiva 2002/19/CE (c.d. Direttiva Accesso), modificata dalla Direttiva 2009/140/CE, detta le regole in tema di separazione della rete di accesso, in particolare un tale processo di liberalizzazione "sostanziale" del settore può essere forzato dalle Autorità Nazionali oppure effettuato volontariamente, come in questo caso, evidenziando che è compito dell'azienda in questione informare l'Autorità Garante affinché integri le procedure previste a livello nazionale (DLGS 70/2012) quali la valutazione preliminare dell'Authority, l'analisi di mercato, il rispetto delle norme europee ecc.

Quadro microeconomico
Vi sono vari metodi elaborati per garantire un processo di scorporo efficiente e un servizio post-liberalizzazione che non penalizzi gli utenti finali.
La soluzione che sembra più discussa al momento rappresenta la creazione di una newco che abbia una partecipazione pubblica minoritaria ma sostanziale (per esempio Terna -rete elettrica- è partecipata al 30% circa, Snam -rete gas- lo stesso) e la restante parte in mano a investitori qualificati o eventualmente i vari operatori sul mercato TLC (per esempio garantendo una quota minima uguale per tutti indipendente dalla quota di mercato dell'operatore ed impedendo scalate di mercato) o ancora frammentato sul mercato.
Eventuali altre opzioni riguardano per lo più determinati parametri da prendere in considerazione per permettere all'Authority un controllo efficiente e un'adeguata valutazione dei costi di produzione degli operatori, in particolare quelli dominanti.

Alcune indiscrezioni...
Si parlava di una eventuale partecipazione pubblica, più probabilmente di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti (già presente per altri settori) anche se attualmente non vi è nulla di certo e nelle varie audizioni alle Camere è stato solo espresso interessamento riguardo all'entrata della CDP nella fase successiva dell'operazione (1, 2).
Un dettaglio abbastanza fastidioso: alcune "dispute" tariffarie (riguardo i prezzi di accesso per gli operatori alla rete in rame di proprietà Telecom) contestualmente in atto tra l'AGCOM e Telecom (qui) e successivamente tra AGCOM e l'UE (qui), rischiano di rallentare molto, se non arrestare, l'operazione di scorporo attualmente in corso.

Conclusioni
Nel mondo della politica sembra esserci un certo consenso nei riguardi di questa operazione (e questo potrebbe prevenire eventuali ostruzionismi, favorendo il processo) e la stessa UE, nonché l'AGCOM, si sono dimostrati favorevoli a mini-liberalizzazioni di questo tipo (soprattutto per via del basso livello di concorrenza presente in molti settori italiani, rispetto alle aspettative europee).
I soci di Telco non hanno mostrato particolari critiche (perlomeno i principali, inclusa Telefonica), per cui anche dal versante interno l'operazione sembra pressoché accettata (vedremo ora dopo le "indiscrezioni" di cui sopra).
Qualunque modello di scorporo verrà adottato, soprattutto in relazione all'assetto societario della newco, il vero obiettivo primario per tutte le parti è raggiungere il c.d. Equivalence of input (EoI, presente in UK) ossia una assoluta parità di accesso alla rete da parte di tutti gli operatori, a differenza dell'attuale Equivalence of Output (EoO, presente in Italia), ossia l'accesso è garantito in modo da rispettare la parità assoluta nei risultati ma non nelle modalità. La differenza può sembrare banale ma l'Eoi è chiaramente più trasparente e chiaro, ed è per questo tutto sommato privilegiato dai regolatori.
In ogni caso la separazione funzionale/scorporo di cui abbiamo parlato non necessariamente deve prendere a modello un caso europeo simile, soprattutto perché attualmente vi sono paesi quali Francia, Spagna, Olanda e Polonia dove l'opzione scorporo non è stata presa in considerazione.

In linea di massima sarebbe perfino sufficiente di per se un passaggio dal EoO al EoI, per garantire maggiore concorrenza, però vista la debolezza e inefficacia delle Authority italiane ritengo sia molto più proficuo uno scorporo effettivo e comunque un "distacco" dalla ingombrante presenza di Telecom, sia per garantire un gestione e investimenti nella rete di un certo livello, sia per avere una presenza pubblica minima ma "interna" (cioè non solo una Autorità che regoli dall'esterno tariffe e comportamenti senza conoscere la gestione interna della società e la maggior conoscenza che ne deriva) così da garantire l'accesso a informazioni che altrimenti non sarebbero possibili (tutelando maggiormente gli utenti finali in tema di prezzi e condizioni). Questo perché sono convinto che la PRESENZA pubblica, seppur minoritaria, dia a tale soggetto delle informazioni (in particolare sui costi di produzione) in grado di valutare attentamente le politiche di prezzo e gli investimenti ed evitando di scadere nella banale ricerca del profitto del privato (visto che si tratta di un servizio parzialmente pubblico); è sufficiente un esempio: la presenza del Comune di Torino in GTT (Trasporto pubblico locale), seppure non sia necessario la partecipazione totalitaria (basterebbe il 51%), permette al Comune di conoscere i costi di gestione del servizio e di conseguenza adottare politiche di prezzo volte a mantenere per esempio un basso costo del biglietto su determinate tratte o in generale per incentivare l'uso del trasporto pubblico, non dovendo necessariamente andare in utile ma anche solo pareggiando costi-ricavi.
Poi possiamo discutere a lungo sulle inefficienze e clientelismi nella gestione degli amministratori e del personale, però è plausibile ritenere che la presenza pubblica "interna" permetta una MIGLIORE conoscenza del servizio e quindi garantisca una sua MIGLIORE regolamentazione. Perciò la presenza della CDP, o simili, nella gestione della Rete ritengo comporti maggiori vantaggi, rispetto agli svantaggi presenti, soprattutto in termini di tutela del consumatore. Si vedrà...