[...]Questa parola, se usata in ambito bancario, indica semplicemente il “differenziale” rispetto al costo del denaro e di approvvigionamento applicato dalla banca ad un prestito, mentre lo spread di cui si parla tanto non è altro che il “differenziale di rendimento tra diversi titoli quotati. Nel caso italiano è tristemente famoso perché misura il differenziale di rendimento (quindi la “distanza” tra i due tassi d’interesse in punti base) tra titoli di Stato tedeschi (Bund) e titoli di Stato italiani (BTP), normalmente quelli con scadenza a 5 o 10 anni
Queste sono state le tipiche domande alle quali opinionisti ed economisti,
nonché giornalisti, hanno dovuto rispondere nell’ultimo anno circa (partendo da
giugno-luglio 2011) e alle quali è in realtà molto semplice rispondere dare una
risposta netta, ma molto più complesso spiegare tutto il meccanismo
sottostante.
Infatti alla prima domanda su “Che cos’è lo spread?” basta
semplicemente rispondere riprendendo la definizione di poche righe che ho dato
pocanzi, ma delineare come mai si è arrivati a parlare di spread BTP-Bund e
come mai il riferimento principale di questo indicatore è un tasso d’interesse
di due titoli di stato, questo è tutto un altro paio di maniche.
Un fatto che ormai è stato compreso da tutti è che lo spread è
direttamente correlato con la credibilità del paese alternativo, e di solito
più debole, rispetto al paese di riferimento (quest’ultimo è la Germania, nel
caso italiano ed europeo), specificando che con credibilità si intende
l’insieme dei dati macroeconomici e fattori politici che influiscono sul
giudizio degli investitori internazionali, spingendo quest’ultimi a richiedere
un tasso d’interesse maggiore sui soldi investiti in esso, a seconda del
“rischio paese”, investimenti che nel nostro caso riguardano in particolare
l’acquisto di titoli di debito pubblico quando vengono messi all’asta (nel
mercato primario) o anche quando vengono scambiati successivamente (nel mercato
secondario).
Un esempio chiarirà le idee: nell’ultimo periodo di governo del
precedente esecutivo (il Governo Berlusconi) oltre ai dati negativi
sull’aumento del debito pubblico, sull’aumento degli interessi sul debito
stesso e sulle prospettive di ripresa negative per almeno due-tre anni, ha
giocato un ruolo fondamentale la convinzione tra gli operatori finanziari che
l’Esecutivo non era in grado o non voleva varare le riforme necessarie a
superare la recessione (la credibilità del Governo e quindi dello Stato stesso
è stata messa in dubbio) e che l’Unione Europea non sarebbe intervenuta poiché
troppo divisa al suo interno, spingendo così in pochi giorni il pluricitato
spread a livelli record tramite le vendite continue e massicce di titoli
di debito nostrani (è evidente il ruolo giocato dalle "mani forti", ossia dai grandi operatori di mercato quali le banche di investimento).
Il fattore credibilità è quindi fondamentale per ricorrere al mercato
finanziario senza pagare tassi d’interesse esorbitanti, ma è composto da
componenti di varia natura (sia politiche che finanziarie) ed è perciò
caratterizzato da un’ampia “volatilità” (variazione), a seconda delle notizie e
del “sentiment”, ossia dell’opinione
dominante in quel momento sui mercati (nonché tramite le "aspettative autorealizzanti" e "l'effetto gregge", *), e questo fatto è ampiamente condiviso e
dimostrato anche dalla recente indagine della Banca d’Italia che stimava il
differenziale “giusto”, cioè coerente con i fondamentali economici, intorno ai
200 punti base (Banca d’Italia, 2012, Occasional Paper n.128), dimostrando così
una volta per tutte l’incidenza di altri fattori difficilmente calcolabili su
questo indicatore.
(*)Nel mondo della finanza, quando molti operatori credono che un certo evento abbia alte probabilità di accadere secondo loro, scommettono sul fatto che accada, contribuendo così in misura determinante alla sua realizzazione (per esempio il fatto di credere che la Grecia possa lasciare l’euro può portare ad una pesante perdita di valore dei titoli greci perché molti investitori hanno condiviso la stessa idea o comunque si sono adeguati al timore della maggioranza degli operatori, nonostante magari non vi siano state notizie o dati negativi particolari che possono avere scatenato tale reazione quel determinato giorno).
Questo comportamento rientra in un’ottica di self-fulfilling expectations o aspettative autorealizzanti ed è molto presente nel mercato finanziario (soprattutto in situazioni di instabilità) ed è spesso associato anche al c.d. effetto gregge, per cui le masse di operatori seguono tendenzialmente il trend di "scommessa" intrapreso dai grandi operatori.
Si può inoltre concordare che quanto meno nel breve periodo questo comportamento è altamente destabilizzante, soprattutto in situazioni come quelle attuali e soprattutto se condotto dalle c.d. mani forti (cioè praticamente sempre) ossia gli operatori che movimentano grandi masse di denaro (per esempio le banche di investimento).
(*)Nel mondo della finanza, quando molti operatori credono che un certo evento abbia alte probabilità di accadere secondo loro, scommettono sul fatto che accada, contribuendo così in misura determinante alla sua realizzazione (per esempio il fatto di credere che la Grecia possa lasciare l’euro può portare ad una pesante perdita di valore dei titoli greci perché molti investitori hanno condiviso la stessa idea o comunque si sono adeguati al timore della maggioranza degli operatori, nonostante magari non vi siano state notizie o dati negativi particolari che possono avere scatenato tale reazione quel determinato giorno).
Questo comportamento rientra in un’ottica di self-fulfilling expectations o aspettative autorealizzanti ed è molto presente nel mercato finanziario (soprattutto in situazioni di instabilità) ed è spesso associato anche al c.d. effetto gregge, per cui le masse di operatori seguono tendenzialmente il trend di "scommessa" intrapreso dai grandi operatori.
Si può inoltre concordare che quanto meno nel breve periodo questo comportamento è altamente destabilizzante, soprattutto in situazioni come quelle attuali e soprattutto se condotto dalle c.d. mani forti (cioè praticamente sempre) ossia gli operatori che movimentano grandi masse di denaro (per esempio le banche di investimento).
Una seconda serie di elementi che intervengono sul livello
di spread, ossia i fondamentali economici: crescita del PIL, crescita del
debito pubblico, livello di inflazione, percentuale di disoccupazione, bilancia
commerciale, produzione industriale (solo per citare i più importanti) e da un
punto di vista temporale rientrano in un’ottica di medio-lungo periodo, sono
quindi più costanti proprio perché gli indicatori che li rappresentano sono
meno variabili nel breve periodo.
Purtroppo però quando si è in situazioni di
“contagio”, per cui non ci si fida più di molti Stati “debitori” e anche quelli
considerati sani crescono a ritmi bassi, allora il fattore credibilità entra in
gioco in maniera sproporzionata creando giorni di quiete e giorni negativi, a
seconda del livello di insicurezza e di panico percepito dai mercati. In questi
casi purtroppo le soluzioni che i mercati chiedono sono INCOERENTI col loro
punto di vista temporale, per cui a problemi magari strutturali si chiede una
risposta immediata (per esempio nuove riforme) che però mostreranno i loro
effetti in un periodo più lungo, così che in seguito alla approvazione di misure
ben volute dagli operatori è possibile che segua un periodo di tranquillità,
dove lo spread diminuisce gradatamente, ma passato quello (che di solito non
dura più di una o due settimane) basta poco affinché le aspettative negative
ritornino preponderanti sulla scena ed eventuali notizie negative provenienti
da altri contesti sicuramente accelerano sicuramente questo processo,
nonostante sia stata appena varata una riforma o preso un provvedimento in tal
senso.
Questa incoerenza quasi paradossale rimarrà sempre tale e il conseguente
effetto destabilizzante sarà sempre presente in situazione di notevole
incertezza e aspettative negative, proprio per questo motivo negli ultimi mesi
si sta agendo sul piano pratico e a livello europeo per limitare questa
instabilità dilagante [...]
In conclusione: lo spread NON è assolutamente un buon indicatore, e per di più, nel caso europeo, non fa altro che distogliere l'attenzione dalle vere cause della crisi (non tanto quella finanziaria americana quanto quella che SEMBRA essere una crisi dei debiti pubblici dei PIIGS) concentrandosi quasi totalmente su fattori che riguardano solo lo Stato e il suo bilancio (e appunto la sua capacità di ripagare debiti) quali deficit, debito pubblico e disponibilità di cassa/ricorso al mercato.
Nessun commento:
Posta un commento