lunedì 14 ottobre 2013

Prestiti d'onore? NO GRAZIE!

E' ormai troppo tempo che il tema delle borse di studio universitarie tende verso la pericolosa deriva dei tanto decantati prestiti d'onore universitari.
Ormai ci sono fior fior di accademici ed esperti del tema che ritengono sia più efficiente diffondere il più possibile tra gli studenti la "cultura" del prestito d'onore (giustamente mal vista), tra cui articoli come questo.

E' assolutamente necessaria una breve precisazione su questo specifico aspetto dell'istruzione universitaria, perché per quanto riguarda i finanziamenti, la docenza, le assunzioni, la ricerca ecc. ci sono comunque margini di dibattito e la situazione è più complessa.

Premessa
L'istruzione universitaria è un BENE MERITORIO per il semplice fatto che produce forti esternalità positive. E' proprio per questo che viene generalmente sostenuto attraverso una Tassa, e non una Tariffa. (* al fondo spiegherò qual è la differenza)
Cosa comporta ciò? Il fatto che un elevato livello di preparazione scolastica (cioè più università per chiunque) sia positivo per il sistema socio-politico in cui viviamo:

  1. Cittadini più istruiti sono più consapevoli delle loro scelte (l'esempio più classico sono le elezioni);
  2. Sono maggiormente attivi a livello di associazionismo e partecipazione (o quanto meno sopra la media);
  3. Sono in grado di gestire meglio la "cosa pubblica" (in soldoni politici più istruiti);
  4. Hanno una preparazione molto estesa, e non solo per quello riguarda il loro percorso di studio 
Lasciando da parte i primi 3 punti che sono tutto sommato intuitivi, quello che ci interessa è l'ultimo punto.
La grande mole di studio, spesso considerato inutile, tipica dei modelli universitari continentali (l'approccio c.d. nozionistico), Italia in primis, ha l'enorme vantaggio di darti una solida preparazione teorica.
Condizione necessaria affinché questo vantaggio non sia solo sulla carta è che il percorso di studio non venga incardinato solo intorno al nucleo base del proprio corso di laurea, così che lo studente ne tragga un beneficio ancora maggiore e sia anche più libero di indirizzare i propri interessi (in modo autonomo, proprio perché non siamo più al liceo). E questo con il livello di immobilismo di certi piani carriera è ormai impensabile.
Un esempio: se studio a Giurisprudenza non è pensabile che dal primo anno il 90% delle materie sia "Diritto...", perché a quel punto l'approccio nozionistico di cui parlavamo diventa solo un modo per incanalarti direttamente su quella professione, senza darti altre possibilità. Questa purtroppo è un'altra delle derive del sistema universitario (di stampo anglosassone) e si ricollega più esplicitamente al rapporto università-lavoro (qui di seguito trattato).

E qui arriviamo al punto cruciale: l'Università NON è funzionale al mercato del lavoro!
E' incredibile che questo punto sia in discussione...Non è pensabile che le materie di studio siano sin dal principio tutte materie incentrate su una determinata professione/lavoro, al massimo è plausibile prevedere un tirocinio per "tastare il terreno" nell'ultimo anno della specialistica, ma sarà poi il datore di lavoro a doverti formare sulla parte esclusivamente pratica.
Solo in questo modo è pensabile che il grande livello di approfondimento teorico sia poi pienamente sfruttato a livello lavorativo e in termini di formazione/cultura personale.
Se i datori di lavoro non apprezzassero la formazione universitaria, visto che non si perde occasione per sputtanare il sistema universitario (in modi tipicamente neo-liberisti), avrebbero sicuramente maggiore interesse ad assumere un diplomato, per pagarlo meno e formarlo sin dalla maturità. Eppure come mai i laureati trovano di solito più facilmente lavoro dei diplomati? Perché è il datore stesso che consapevolmente decide di assumere un giovane laureato piuttosto che un giovane diplomato per via della sua preparazione (che per quanto teorica è comunque importante), pur sapendo che "costerà" di più e che molto spesso necessita di una "introduzione" al mondo del lavoro.
Allo stesso modo la concezione dell'università deve essere intesa come luogo di prosecuzione della propria formazione per crearsi una forma mentis degna di nota (degna di un'universitario, appunto) e solo secondariamente (o magari durante l'ultimo anno di specialistica) come luogo di preparazione alla futura professione.

Cosa c'entra con i prestiti d'onore?
Beh, se si decide di puntare sui prestiti d'onore, considerando che non tutti corsi di laurea offrono le stesse percentuali di lavoro entro i primi tot anni o anche solo lo stesso livello di stipendio, è evidente che l'unica soluzione possibile - per gli studenti - sarà di seguire solo i corsi che offrono maggiori opportunità di lavoro, e - per le università - introdurre l'accesso programmato per la quasi totalità dei corsi.
Questo perché se i laureati annuali di Economia sono pochi, le aziende dovranno offrire salari più alti per contenderseli (basi di economia: domanda delle imprese è maggiore dell'offerta di laureati ---> il prezzo, ossia il salario, aumenta), solo così gli studenti potranno ripagare i debiti precedentemente contratti, vivendo comunque in una situazione di instabilità (non fatevi ingannare dal fatto che i salari sarebbero potenzialmente più alti, perché se poi metà del salario viene usato per ripagare il debito, tra spese essenziali e spese varie rimarrà ben poco!).

...E' uno scenario abbastanza SQUALLIDO e che comporta dei gravi pregiudizi in merito alla formazione e alla continuazione degli studi per numerosi studenti, specialmente i fuori sede!

Una seconda critica evidente è questa: tutto il ragionamento sotteso al sistema dei prestiti d'onore è che i datori di lavoro siano in grado di assorbire e saper valorizzare non solo i 100 futuri commercialisti o avvocati uscenti, ma anche i 100 laureati in Lettere e Filosofia.
Eppure uno dei problemi (spesso evidenziato) del tessuto produttivo italiano è la forte predominanza di microimprese (che occupano meno di 10 addetti), rispetto al resto d'Europa e con percentuali che arrivano fino al 95%...come possiamo aspettarci che tali aziende (che occupano un numero di addetti fortemente al di sopra della media UE) riescano ad offrire carriere interessanti e valorizzanti e/o salari di un certo livello?
Non a caso molti giovani laureati arrivati a questo punto, vista la situazione, decidono o di andare a lavorare all'estero oppure di crearsi un'azienda (con tutti gli ostacoli e difficoltà del caso).

Rigettiamo tutte le proposte volte a trasformare l'università in un laboratorio per il mercato del lavoro!


(*)
Tariffa: in teoria, da applicare quando la domanda e il beneficio sono individuali, però lo Stato ne promuove l'utilizzo per vari motivi (x es: il prezzo del biglietto del tram lo paghi tu e ne trai beneficio tu, però l'Amministrazione ritiene che in questo modo gli ingorghi stradali diminuiscano quindi rinuncia a fare profitti). Il costo del servizio viene coperto dall'esborso di paga i biglietti, però non viene aumentato per fare utili (visto che si vuole promuoverne l'uso).

Tassa: quando la domanda è individuale ma il beneficio va a vantaggio di tutti (x es: la rata universitaria la paghi tu perché ne fai domanda, però il prezzo viene calmierato o definito in base alla tua condizione, perché indirettamente ne traggono vantaggio anche gli altri - per i motivi di cui sopra -). Il costo del servizio deve però essere coperto in parte con la fiscalità generale.

Imposta: quando non è possibile distinguere chi fa domanda e chi ne trae beneficio si usa l'imposta (x es: il servizio di pattuglia di un poliziotto non può essere suddiviso a seconda di chi ne fa domanda o ne trae beneficio). Il servizio in questione viene interamente coperto tramite la fiscalità generale.