sabato 12 gennaio 2013

Euro o non Euro? PARTE III

Premesse della terza parte:
  1. Il coefficiente di trasferimento (pass-through) è l'intensità con cui una variazione del tasso di cambio (di solito una svalutazione) si trasferisce sul prezzo dei beni nazionali: per esempio se in seguito ad una svalutazione del 10% l'inflazione aumenta del 5%, allora il pass-through è dello 0,5 (ovvero 50%)

  2. teoricamente parlando, quando avviene una svalutazione di solito la bilancia commerciale ritorna in positivo (o migliora); eventuali ritardi nell'aggiustamento della stessa possono essere dovuti a tre effetti diversi (Magee, 1973):
    • il currency contract period è quel breve periodo di tempo susseguente alla svalutazione in cui vengono a scadenza i contratti stipulati prima della svalutazione; se molti contratti sono stipulati in valuta estera (nel timore di possibili svalutazioni) allora dopo la svalutazione il valore in valuta nazionale di import ed export aumenterà della stessa percentuale della svalutazione, per cui il deficit aumenterà temporaneamente (perché il valore il valore pre-svalutazione delle importazioni è maggiore di quello delle export).
    • il pass-through period è quel breve periodo successivo alla svalutazione, quando i prezzi possono variare (perché riferiti a contratti stipulati dopo la svalutazione) mentre le quantità rimangono invariate a causa della rigidità della domanda e/o dell'offerta di importazioni ed export (per esempio il prezzo cala in seguito ad una svalutazione, ma poiché la domanda è rigida le quantità importate rimangono le stesse, per cui la bilancia non migliora o peggiora momentaneamente).
    • il quantity adjustment period è quel breve periodo in cui sia i prezzi sia le quantità possono variare, però poiché è possibile che le quantità si aggiustino più lentamente dei prezzi, può capitare che la bilancia peggiori prima di migliorare.

  3. la curva a J descrive il ritardo con cui la bilancia commerciale o la CA migliorano in seguito alla svalutazione; può infatti accadere, anzi, che l'effetto iniziale di una svalutazione sia di rendere più costose le importazioni, mentre l'aumento prospettato delle export avviene con maggiore ritardo (andamento a J perché inizialmente la bilancia peggiora e poi migliora)

  4. il differenziale d'inflazione è la differenza tra il tasso di inflazione di due o più paesi.
    Il differenziale cumulato d'inflazione è la somma totale di tutti i differenziali di inflazione cumulati negli anni tra due paesi (per esempio differenziali tra Germania e Italia pari a 4% nel 2012, 5% nel 2013, 3,3 nel 2014 = 12,3% differenziale totale cumulato). A noi interessa ovviamente quello tra Italia e Germania, appunto.
    Questo è inoltre un modo molto semplice per identificare la perdita di competitività tra due paesi, basti considerare che anche solo un differenziale annuo dell'1%, può portare dopo dieci anni ad un differenziale cumulato del 10%, che si traduce in una costante perdita di competitività (perché comporta aumento dei prezzi nazionali maggiori rispetto all'altro paese considerato), nel caso in cui il cambio tra i due paesi in questione non sia libero/flessibile.

  5. il valore nominale di un obbligazione/titolo di debito è il relazione inversa rispetto al tasso di interesse; cioè se un titolo che vale 1000 e dà interessi del 3% perde valore (poco richiesto sul mercato), per essere più "appetibile" dovrà dare interessi maggiori, ma se ciò non è possibile perché l'interesse non è modificabile, allora il valore nominale diminuirà di conseguenza (è quello che è successo qualche mese con i nostri BTP: essendo considerati rischiosi, i mercati chiedevano interessi maggiori su quelli nuovi, ma nel frattempo quelli già sul mercato diminuivano di valore, non potendo modificare l'interesse).

Se dovessimo uscire dall'Euro...
  • la svalutazione della "nuova lira" sarebbe intorno al 11% (BofA and Merrill Lynch, 2012), oppure del 12% (differenziale di inflazione cumulato); in quest'ultimo caso il valore è quello corrispondente al differenziale cumulato di inflazione tra Italia e Germania.
    Ci sono state ipotesi di svalutazione oltre il 20%, ma questo sembra uno scenario poco attendibile.
  • il coefficiente pass-through italiano è stato stimato intorno al 36% (Goldfajn e Werlang), per cui ipotizzando (per eccesso) una svalutazione del 12%, solo il 36% di tale svalutazione si tradurrebbe in inflazione l'anno successivo; ipotizzando un'inflazione del 2%-2,5% il prossimo anno, il 36% del 12% è uguale al 4,3%, per cui vuol dire che l'inflazione l'anno successivo all'uscita potrebbe essere del 6,8 (2,5+4,3). Si tratta di valori tutto sommato esigui e facilmente controllabili (anche ipotizzandola fino al 9-10% totale) e che sono comunque immaginati nel caso di totale assenza di politiche anti-inflazionistiche (impensabile che il Governo o la Banca Centrale rimangano immobili).
    Un altro studio (Bootle) ipotizza invece una maggiore inflazione del 5% il primo e il secondo anno (non siamo comunque oltre il 10%).
  • se abbiamo svalutato del 12%, vuol dire che quando compriamo da Obama una Focus la paghiamo il 12% in più (semplificando), per esempio se costava 10.000 ora costerà 11.200, ma se compriamo una Panda possiamo ipotizzare che l'inflazione ne abbia spinto il prezzo fino al 7% (è un'ipotesi pessimistica), così se costava 10.000 ora costa 10.700 (tutto sommato accettabile).
  • tutti sono preoccupati dal prezzo della benzina;
    innanzitutto se la benzina, come tutti i beni, aumenta del 7% ipotizzato vuol dire che passa da 1,75 a 1,87 ma ci dimentichiamo che possiamo benissimo sterilizzare in tutto o in parte questo effetto semplicemente riducendo le accise di poco (non dobbiamo dimenticarci delle premesse del post precedente, per cui le maggiori esportazioni portano aumenti di reddito dei residenti che si traducono a loro volta in maggiori entrate fiscali); senza contare che oltre un certo prezzo, la gente, per quanto poco sostituibile la benzina, cercherà ogni possibile "sostituto" al bene costoso in questione (effetto sostituzione), per cui quando si sono sfiorati i due euro e si è capito che non era esattamente un aumento temporaneo, i consumi sono drasticamente calati (pur essendo un bene a domanda rigida, cioè poco sostituibile), finché non si è tornati in zona 1,7-1,75 (semplificando).
  • Non è che le imprese italiane importano tutti i beni necessari a produrre, ma solo una parte di essi, perciò in tal caso è possibile che il costo di questi aumenti del 12% (per esempio ipotizziamo un grosso acquisto di 300.000 che potrebbe aumentare fino a 336.000);
    l'aumento in questione non sarebbe comunque immediato, per cui i costi non aumentano subito del 12% mentre invece per gli acquirenti esteri i prodotti nazionali sono da subito convenienti il 12% in più di prima (il tasso di cambio si modifica da un giorno all'altro o comunque nel breve periodo), perciò le esportazioni e la domanda estera aumenteranno quasi subito, compensando gli eventuali maggiori costi graduali (infatti la storia insegna che, di solito, dopo una svalutazione c'è una ripresa economica)
  • il precedente italiano c'è: nel 1992 la lira si svalutò del 20% in un anno, ma guarda un po' l'inflazione in quel caso addirittura passò dal 5% al 4%, e l'anno successivo cominciò la ripresa economica
  • i tassi d'interesse sul debito non schizzerebbero alle stelle e men che meno la nuova lira sarebbe oggetto di "selvagge speculazioni".
    Questo per il semplice fatto che non stiamo dichiarando default per non pagare il debito, ma stiamo semplicemente svalutando quel tanto che basta per riprendere a crescere; i mercati finanziari sono sregolati e si muovono a gregge, spesso però sono abbastanza razionali (anche se può sembrare strano): per esempio l'Argentina nel 2001 aveva accumulato un differenziale di inflazione con gli USA del 190% circa, così quando svalutò del 232%, i mercati capirono che era in realtà un valore esagerato e i due anni successivi il pesos addirittura si rivalutò! Ovvero i mercati ritenevano che il valore della valuta era troppo basso, PUR ESSENDO FALLITO lo Stato; questo non dimostra che gli operatori finanziari sono belli e buoni, ma solo che ricercando occasioni di profitto sfruttano le incongruenze e le differenze di valore ovunque si presentino (così come nel 1992 Soros speculò contro la lira solo perché aveva un cambio troppo alto rispetto ai fondamentali). Poi se vogliono testare la nostra solidità lo possono benissimo fare, certo le variazioni nei tassi (se ci saranno) non potranno essere sostenute per più di poco tempo (è necessaria una vendita ingente e continua nel tempo di titoli per variarne così tanto il prezzo e l'interesse).
    Ovviamente l'uscita non sarà una passeggiata, tutti saranno preoccupati e in ogni caso nei primi mesi successivi è possibile che gli operatori richiedano tassi d'interesse più alti (ma solo per compensare il fatto che la svalutazione ne ha diminuito il valore, si veda il punto 5) e che lo spread aumenti momentaneamente, per via della portata di tale evento.
  • oltre alle varie crisi inevitabili a cui andremo incontro (e a tutti gli altri problemi delineati nel precedente post), un altro motivo per darsi una mossa è che non potendo svalutare né riuscendo a mantenere un inflazione uniforme (cioè annullare il differenziale), l'unico modo per rimanere competitivi è attuare una "svalutazione" sui salari (così come ha fatto la Germania, vedasi post precedente), cioè ridurli.
    Questo è un fatto economico, cioè se O > D perché i nostri prodotti sono poco competitivi, o noi compriamo solo "roba italiana", altrimenti non potendo variare l'input del tasso di cambio verso la Germania, sarà necessario ridurre il peso del fattore lavoro (o licenzi o abbassi i salari).
    Dopo una decina d'anni di Euro saremmo già tutti a casa disoccupati, secondo questo fatto, ma per fortuna esistono anche altri fattori non di prezzo che ancora tengono un po' su la domanda (per esempio l'interesse per una Ferrari), comunque solo per alcuni settori specifici e che senza le riforme strutturali necessarie non possono gestire adeguatamente la domanda.
  • il costo del mutuo e dei vari prestiti fatti dalle banche ai singoli cittadini/imprenditori NON aumenteranno, cioè un rata di 500 euro diventerà una rata di 500 nuove lire, punto.
    Se proprio andiamo nel particolare, solo un pazzo che ha pensato di stipulare un mutuo in una valuta estera (mutuo in dollari per es.) si vedrebbe aumentata la rata di una percentuale pari alla svalutazione.
    Per quanto riguarda i debiti privati verso l'estero, nel solo caso in cui siano regolati dal diritto estero, questi aumenterebbero inevitabilmente. Non dimentichiamoci però che in seguito all'uscita saremo molto più liberi di concedere crediti (maggiore liquidità delle banche) e avremo ampi margini di movimento in termini di spesa pubblica, per cui tali passività potranno essere meglio gestite (inoltre nel 1992 le passività delle banche italiane erano pressapoco allo stesso livello, ma in seguito alla svalutazione non ci furono bancarotte a catena o cose simili).
  • il debito pubblico italiano quotato non raddoppierà né dovrà essere pagato in euro (tranne nel raro caso in cui sia sottoposto alle norme di legge internazionale), perciò dagli attuali 2000 miliardi circa diventerà 2000 miliardi di nuove lire, punto.
    Attualmente il debito pubblico quotato in mano estera è del 35% circa (sul totale del debito quotato e non), ma questo non cambia nulla, semplicemente succederà quanto esaminato tre punti più in alto, in relazione ai tassi d'interesse.

Come ripetevo già nel primo intervento, l'ideale non sarebbe pensare a tutti i costi ad un'uscita quanto piuttosto tenere tale alternativa lì presente qualora servisse, così da poterla anche pianificare un po' meglio (piuttosto che aspettare di trovarsi coinvolti in un'altra grossa crisi).












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