venerdì 11 gennaio 2013

Euro o non Euro? PARTE II

Se il precedente post sull'argomento è stato chiaro (soprattutto per quanto riguarda le premesse), non resta che entrare più nel dettaglio per risolvere molti dei dubbi che circondano le possibili correzioni ai problemi di mancata integrazione tra gli Stati dell'Euro.
Della soluzione riguardante riforme strutturali volte a garantire maggiore uniformità ne abbiamo già sinteticamente parlato (ed eventualmente si potrà approfondire più nel dettaglio in un post a parte), mentre l'altra opzione, cioè l'uscita vera e propria, è ancora tutta da esaminare.

Le premesse di questa seconda parte:
  1. L'elasticità, in economia, indica la variazione percentuale di una determinata variabile in seguito alla variazione di un'altra, per esempio l'elasticità della domanda al prezzo indica di quanto varierebbe la domanda in relazione ad un aumento/diminuzione di prezzo:
    • se il prezzo varia del 10% e di conseguenza la domanda aumenta più del 10% allora si dice che la domanda è elastica rispetto al prezzo;
    • se il prezzo varia del 10% e di conseguenza la domanda aumenta meno del 10% allora si dice che la domanda è anelastica/rigida rispetto al prezzo;
    • se il prezzo varia del 10% e di conseguenza la domanda aumenta esattamente del 10% allora si dice che la domanda è ad elasticità unitaria rispetto al prezzo;
  2. La bilancia dei pagamenti (BoP) è il documento contabile che registra le transazioni economiche tra residenti e non residenti (compresi crediti e debiti).
    La sezione più importante di questo documento riguarda il Conto Corrente (d'ora in poi CA), che registra crediti, debiti, export, import, redditi da lavoro (stipendi di chi va a lavorare all'estero, mantenendo la residenza in Italia), redditi da capitale (interessi e dividendi che spettano ai residenti, da parte dei non residenti) e trasferimenti unilaterali (rimesse emigrati, contributi ad organismi internazionali, aiuti finanziari a paesi poveri ecc).
    Volendo ulteriormente specificare, si può delineare all'interno del CA la bilancia commerciale, ovvero esportazioni meno importazioni.
  3. Il debito estero è il debito di tutta la collettività, pubblico e privato, verso qualunque ente o singolo creditore estero (non ha nulla a che vedere col debito pubblico).
    Il debito privato è il debito totale del settore privato (famiglie e imprese) verso residenti e non.
  4. Per "valuation effect" si intende la variazione del tasso di cambio e/o del prezzo che incide su attività e passività finanziarie (in questo caso lo usiamo in relazione alla posizione creditoria o debitoria verso l'estero, ovvero NFA).
  5. (Basi di economia, semplificando al massimo effetti e tempistiche)
    Ipotizzando l'Italia da sola, con la lira e con tasso di cambio flessibile, con D che è la domanda e O l'offerta:
    • se la D estera di nostri prodotti aumenta ---> aumentano le esportazioni, aumenta il reddito nazionale (entrano più soldi dall'estero per pagare le maggiori esportazioni), aumenta/si "apprezza" il tasso di cambio della lira (perché è molto richiesta dall'estero per pagare le merci che l'estero compra) e perciò aumentano piano piano anche le importazioni (perché entrano più soldi che in parte la gente spenderà).
      Tale situazione va avanti finché per via dell'alto tasso di cambio (che dall'estero vuol dire più soldi per pagare gli stessi prodotti) e per via delle maggiori importazioni, i prodotti diventano sempre meno competitivi (meno acquistati) e la CA va in negativo. Quando il tasso di cambio diminuisce/si "svaluta", nel tempo, raggiungendo un punto considerato competitivo, allora si riparte dall'inizio.
    • se la D interna di nostri prodotti aumenta ---> l'unica conseguenza principale è che l'O e i prezzi aumenteranno costantemente finché non sarà più conveniente acquistare i prodotti nazionali (meglio importare) e ci saranno troppi prodotti in circolazione rispetto alla D nazionale. Da qui in poi i prezzi e l'O saranno rimodulati in relazione alle esigenze, nel tempo, finché non si riparte dalla situazione iniziale.


Un'ulteriore premessa dovrebbe riguardare il fatto che io non voglio l'uscita dall'Euro il prima possibile, ma semplicemente voglio dimostrare che tale possibilità è meno problematica di quanto sembri (economicamente parlando, mentre politicamente sarebbe ora impraticabile), nel caso ci fossero nuovi shock  o crisi importanti.

Detto questo andiamo a vedere chi sono i maggiori sostenitori della "pericolosità" dell'Euro:

- Paul Krugman (Premio Nobel nel 2008, apertamente di sinistra) ha sostenuto che l'Unione monetaria, per come è concepita, fa solo gli interessi della Germania (forte paese creditore) e che in questo modo gli altri paesi rischiano di sprofondare in una deflazione sul modello giapponese.

- Rudiger Dornbusch (Ex professore al MIT, allievo di Mundell) ha sostenuto che l'Euro non risolverà i problemi europei, che l'Italia crollerà di nuovo in seguito a tale situazione e che non permettendo la svalutazione agli Stati sarà necessario rendere più flessibile il mercato del lavoro (cioè i salari).

- Martin Feldstein (Professore ad Harvard) ha sostenuto che un unione di questo tipo non potrà che aumentare i conflitti tra gli Stati e che il problema più grave è stato quello di non prevedere una legittima via di uscita.

Dominik Salvatore (Professore alla Fordham) ha sostenuto che nel caso di uno shock importante, questo provocherebbe una pressione insopportabile all'interno dell'unione, data la scarsa mobilità del lavoro e l'inadeguata redistribuzione fiscale, inoltre ipotizzando una BCE che vuole mantenere a tutti i costi l'inflazione bassa (come prescrive il suo statuto) così da tenere l'euro forte rispetto al dollaro.

- Joseph Stiglitz (Premio Nobel nel 2001) ha sostenuto che se non verrà riformato l'Euro, allora sarà più conveniente tornare alle vecchie monete.

[Questo solo per citare i contributi economici più autorevoli]


Ora non resta che capire cosa indicano i dati, quali sono e se queste differenze esistono e di che ordine e grado sono.
Gli Stati membri della Zona Euro sono 17.
Secondo la stessa Commissione Europea, nella Area Euro, ci sono sostanzialmente quattro paesi in costante surplus di partite correnti (pag. 17 e ss.), ovvero con un Conto Corrente o Bilancia Corrente (CA, si veda sopra) positivo.
Questi quattro paesi sono: Germania, Olanda, Austria e Finlandia (Germania e Austria solo in seguito all'entrata nell'Euro, mentre Finlandia e Olanda già in precedenza); questo vuol dire che questi quattro Stati sono dei cosiddetti "paesi creditori" (surplus del CA significa che i crediti, i redditi di lavoro e di capitale in entrata e le esportazioni, in totale, superano i debiti, i redditi di L e di K in uscita e le importazioni).


Figura 1. Saldo (+/-) annuale delle partite correnti (CA) di alcuni paesi dell'Euro, in miliardi di euro, periodo 1996-2011 (Dati Eurostat)


Come si vede dal grafico, la situazione dei conti con l'estero dei principali paesi dell'Eurozona si è deteriorata con l'entrata nell'Euro (o è comunque via via peggiorata), mentre la Germania (linea rossa) registra un surplus vertiginoso pur partendo da una situazione di disequilibrio peggiore degli altri paesi!

Come si spiega questo?
Normalmente si pensa subito al fatto che magari da quel momento la produzione industriale tedesca è diventata di maggior qualità e di maggior competitività rispetto agli altri paesi.
In realtà che la struttura produttiva sia improvvisamente cambiata o che abbia dal nulla cominciato a produrre di più, non è pensabile per il semplice fatto che si tratta di variabili di medio-lungo periodo! Il fatto che la Germania passi da -35 mld circa nel 2000 a +42mld circa nel 2002 (cioè da ampiamente negativo ad ampiamente positivo in due anni) non può essere giustificato da miglioramenti della tecnica o particolare euforia sui mercati internazionali, perché a quel punto anche paesi più forti come la Francia avrebbero dovuto almeno in parte beneficiarne.

La risposta ce la dà la Commissione Europea (stesse pagine):
la performance tedesca di grande aumento delle esportazioni non può spiegare di per se il grande surplus della CA, perché le maggiori esportazioni avrebbero dovuto portare maggiori guadagni che almeno in parte sarebbero diventati maggiori importazioni (come in Grecia, dove con l'entrata nell'Euro le esportazioni sono aumentate, ma anche le importazioni, senza perciò determinare un miglioramento delle partite correnti CA).

Quale è stata la particolarità della Germania?
Tale surplus è dovuto essenzialmente ad una debolezza della domanda, che non è andata ad incrementare le importazioni, mentre negli otto anni prima l'entrata nell'Euro questa era la componente principale della sua crescita.
La Germania è così diventato un paese ampiamente legato alle esportazioni, più che alla domanda interna.
Inoltre il settore privato e il settore industriale (non finanziario) sono diventati dei prestatori netti (cioè nel totale nazionale, questi due settori, prestavano più di quanto chiedessero a prestito), determinando gran parte del surplus delle partite correnti in questione (CA).
La Commissione ritiene che un tale aggiustamento nel settore industriale tedesco sia stato effettuato nei primi anni 2000 tramite un tagli degli investimenti ma soprattutto una MODERAZIONE SALARIALE, cioè un abbassamento dei salari, il quale per di più è stato MOLTO PIU' PRONUNCIATO che negli altri paesi dell'Eurozona (infatti risulta che la domanda interna sia stata molto bassa, ovvero bassi consumi, ovvero maggiori risparmi, ovvero surplus della CA, tutto torna).

[Sulla stagnazione dei consumi in Germania se ne parla anche in questo paper]

Partendo da una posizione di questo tipo, quando c'è stato il boom dei commerci tra il 2004-2007, la Germania ha potuto beneficiare di maggiori esportazioni, come tutti, ma senza incorrere in un aumento delle importazioni e per di più consolidando le finanze pubbliche per via delle maggiori entrate derivanti dalle esportazioni (il settore pubblico tedesco partiva da una situazione di deficit, entrate minori delle uscite, già dai precedenti anni e solo nel 2007 è riuscito a ritornare in pareggio).

Questo NON VUOL DIRE che la qualità della struttura produttiva tedesca in realtà è solo un mito o che a livello industriale Italia e Germania sono uguali. Semplicemente viene indicato (pag. 23 e ss.) che in Germania la maggiore competitività deriva soprattutto da fattori non correlati col prezzo dei loro prodotti. [In aggiornamento].
Viceversa in Italia il fattore prezzo è determinante, con un ampio grado di elasticità delle esportazioni rispetto al prezzo (maggiore o uguale a 5,5 <*>, in questo studio), per cui la rigidità del cambio (che determina il prezzo da pagare da parte degli esportatori) influisce negativamente sul nostro export.
Perciò un tasso di cambio apprezzato incide molto negativamente sulla competitività dei prodotti italiani, mentre quasi non incide sugli esportatori tedeschi (che al contrario ci guadagnano in termini di maggiore entrate).
Per di più il cambio dell'Euro è sempre stato molto "apprezzato" rispetto al dollaro e alle altre valute, sia perché rispecchia 17 economie totali, sia perché è presente anche la Germania che vanta una quantità di esportazioni impressionante (si veda sopra: >export determina aumento tasso di cambio perché la valuta è molto richiesta ecc).
Lo stesso studio infatti conclude dicendo che solo "un'Euro più debole può salvare l'Euro". A tal proposito si indica nel valore EUR/USD 1,2 ma soprattutto in area 1,1 il valore ideale. Per di più dimostra che alla Germania converrebbe pagare ipoteticamente l'Italia affinché rimanga nell'Euro, perché per lei sarebbe comunque una spesa inferiore a quella conseguente ad una eventuale uscita italiana.

[<*> 5,5 vuol dire che, a parità di inflazione, una diminuzione di prezzo o una svalutazione pari a 1% fa aumentare le esportazioni di 5,5%!]

Abbiamo le conseguenze della rigidità del cambio sulle esportazioni e la tipicità dell'economia e dei consumi tedeschi, ora resta da analizzare alcuni dati riguardanti il debito privato.

Il precedente report della Commissione (pag. 29 e ss.) ci indica che la posizione debitoria dei paesi membri con un deficit di partite correnti (CA), verso l'estero, è stata molto influenzata negli anni da valuation effects, che hanno determinato un progressivo deterioramento delle passività/debiti verso l'estero (per via di variazioni di prezzo), amplificando il deficit di CA di tali Stati.
Inoltre se andiamo a confrontare il debito privato in percentuale del PIL, notiamo che tra i paesi dell'Eurozona quelli col maggiore indebitamento, sia prima che dopo la crisi, sono nell'ordine Irlanda, Portogallo, Spagna ovvero i paesi che hanno avuto maggiori problemi durante la crisi.
La Grecia si posiziona poco più in basso in termini percentuali, però il valore in questione è raddoppiato dall'entrata nell'Euro in poi; l'Italia d'altro canto è famosa per un basso indebitamento privato, ma un alto indebitamento pubblico, per via dell'alta propensione al risparmio delle famiglie italiane (propensione che sta via via diminuendo).
La Germania invece, come confermato dal rapporto, ha mantenuto un debito privato abbastanza alto sì, ma stabile negli anni (soprattutto durante la crisi), grazie a tutte le motivazioni sopra considerate.

[Alcune considerazioni molto schematiche su tale problema le troviamo in queste diapositive]

Riepilogando, abbiamo paesi come la Germania che sono costantemente in "acque tranquille" (per i motivi indicati) e paesi più deboli, tipo i PIIGS, che invece dall'entrata nell'Euro sono in costante deficit di CA, in costante indebitamento privato (soprattutto verso l'estero) e contemporaneamente vantano una diminuzione contestuale del debito pubblico, dell'inflazione e dello spread (almeno fino alla crisi).

Come sono possibili tanti dati contrastanti?

Semplice: l'Euro ha inizialmente dato l'illusione che tutti i paesi stessero andando nella "direzione giusta" della convergenza e uniformità, in realtà non avendo "curato" le diseguaglianze intrinseche all'interno dei Membri ha solamente permesso ai paesi che erano già in deficit verso l'estero (e che a differenza della Germania non hanno tratto vantaggio dall'entrata) di indebitarsi ad un prezzo minore, poiché in un quadro di aspettative ottimistiche, come allora, anche i tassi di interesse (spread) si erano in parte avvicinati. Come conseguenza di ciò, il SETTORE PUBBLICO di tali Stati ha potuto MIGLIORARE il proprio bilancio perché pagava minori interessi sui titoli di debito pubblico (come in Spagna e in Grecia, oppure indebitarsi a prezzo minore come in Italia e Portogallo; qui), e il SETTORE PRIVATO ha potuto INDEBITARSI VERSO L'ESTERO a tassi più bassi, perché non dimentichiamo che la Germania aveva ampie disponibilità di risparmi da dare in prestito (abbiamo già spiegato il perché prima) quindi anche ad un prezzo più conveniente rispetto a quello nostrano.

[Questo processo è ben delineato dal "ciclo di Frenkel", riguardo gli squilibri tra paesi forti e paesi deboli, o come viene detto alcune volte, tra centro e periferia, disequilibri che creano inevitabili crisi che riportano a galla le evidenti asimmetrie e contraddizioni in un ciclo continuo e ben riscontrabile anche in altre realtà]

DETTO CIO', RIPETO ANCORA CHE NON VUOL DIRE CHE L'UNICA SOLUZIONE E' L'USCITA IMMEDIATA DALL'EURO: O LO SI MIGLIORA CON RIFORMA STRUTTURALI UNIFORMI, ALTRIMENTI TANTO VALE USCIRE (COME DICE IL PREMIO NOBEL STIGLITZ), PERCHE' UNA SITUAZIONE DEL GENERE NON PUO' CHE PORTARE A CONTINUI SHOCK ASIMETTRICI E/O STAGNAZIONE DEI PAESI PIU' "DEBOLI"































2 commenti:

  1. Salve, leggo con estremo interesse la sua disamina (egregiamente spiegata). Mi chiedo se alla luce dell'attuale situazione le sue considerazioni finali sono cambiate o rimaste immutate. Grazie

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    1. Salve,

      ammetto che un aggiornamento andrebbe fatto (lavoro permettendo) e io stesso dal 2013 ho cambiato idea su determinati aspetti economici.

      Detto questo, continuo a condividere il concetto di massima: ritengo che l'Euro abbia dei limiti non superabili con il concetto di "più Europa", che sia politica o fiscale. D'altronde,anche se si andasse a dimostrare inconfutabilmente una penalizzazione marcata per la maggior parte dei paesi "deboli" dell'area Euro, sarebbe comunque pressoché impossibile coordinare seriamente un ritorno alla Lira. Le soluzioni (economiche) andranno trovate molto probabilmente rimanendo all'interno dell'attuale paradigma e valutando come approcciarsi all'attuale situazione di mercato, cioè quale/quali variabili della funzione del PIL privilegiare...e non così semplice come sembra.

      Se hai delle domande più specifiche ben vengano, altrimenti (come dicevo) cercherò di fare un aggiornamento di questi post ad oggi.

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