mercoledì 16 gennaio 2013

Una breve riflessione su patrimoniale e debito pubblico...

Visto che siamo in piena campagna elettorale, viene spesso citato il problema dell'alto debito pubblico italiano e l'idea, molte volte correlata, di introdurre un'imposta patrimoniale "sui grandi patrimoni" o "sui super-ricchi" per ridurlo o per fare cassa, insomma la solita retorica e demagogia che aiuta a identificare chi di economia e fisco non capisce niente e non ha una vaga idea sul da farsi.
Oltretutto il debito pubblico ha recentemente sforato il tetto dei 2.000 miliardi di euro (al 126% del PIL), destando ulteriore preoccupazione e sfiducia sulla ripresa italiana.

In tale contesto l'idea generica che mi è passata per la mente è questa:
perché non ridurre il debito pubblico detenuto da noi italiani a fronte di una riduzione delle tasse (o maggiore spesa pubblica)?
In fondo si tratta di un aiuto economico che noi concediamo ora allo Stato in cambio di interessi periodici e del ritorno del capitale a fine "prestito" e che lo Stato chiede per "svolgere meglio investimenti e funzioni" (altrimenti sarebbe costretto ad alzare di molto le tasse ogni volta che bisogna finanziare una grossa opera pubblica, invece di diluirne il peso nel tempo).

Bisogna intanto specificare che tale idea, nella sua forma teorica, è stata concepita da Marco De Viti, il quale proponeva una drastica riduzione del debito pubblico a fronte di una riduzione del carico fiscale ("ammortamento democratico"), come dire "tanto vale annullarlo ora, riducendo subito le tasse, piuttosto che aspettare chissà quanti anni per ridurle gradualmente".
In realtà tale concetto è considerato appunto teorico, perché De Viti sosteneva che un'operazione del genere potesse funzionare solo nel caso in cui il debito fosse equamente distribuito tra tutti i cittadini, solo ed esclusivamente italiani, e la tassazione fosse unica e uguale per tutti; ovvero utopia e perciò abbandonato.

Tralasciando la teoria, la quale è troppo restrittiva sulle condizioni di base per poter anche solo pensare ad un'operazione del genere, se ragioniamo e limiamo un po' questo concetto vedremo che i presupposti per realizzarlo invece ci sarebbero o per lo meno la sua realizzazione non sembrerebbe così fallimentare come sembra dalla teoria.
Come al solito serve qualche dato, anche perché non stiamo parlando di pizze.

Premesse:
  • le stime della Banca d'Italia per ottobre 2012 (le ultime) indicano che dei 2.015 miliardi di debito pubblico totale, circa 700 è in mano a non residenti (circa il 35%), anche se effettuando le opportune rettifiche si arriva a 430 mld soltanto, inoltre, considerando solo i titoli quotati, circa 98 miliardi sono detenuti dalla Banca d'Italia stessa, altri 366 da istituti finanziari (più altri 337 di altre istituzioni finanziarie) e 214 circa dalle famiglie italiane e imprese.
  • l'ultimo bollettino disponibile del Dipartimento del Tesoro (novembre 2012) ci informa che i titoli di debito pubblico in circolazione sui mercati hanno un valore di 1.639 miliardi.
    Ci viene inoltre detto che nel 2013 andranno in scadenza titoli per 310 miliardi circa.
  • ai titoli di Stato si applica un regime fiscale particolare: 
    • per le persone fisiche (singoli cittadini) si applica una imposta sostitutiva sugli interessi (semplifichiamo: solo su interessi) del 12,5%, per esempio se l'interesse di un BTP da 1.000 euro è del 4% (40 euro) allora 12,5%*40 mi dà il valore dell'imposta applicata (5 euro); 
    • se si svolge un'attività commerciale, l'interesse maturato concorre al reddito complessivo dell'attività in questione (sarà tassato dopo con tutti gli altri redditi);
    • per i non residenti non è prevista alcuna imposta se fanno parte di paesi nella "white list" oppure se hanno un'attività qui in Italia (vale il punto precedente), altrimenti si applica l'imposta sostitutiva del 12,5%;
    • fondi immobiliari, fondi pensione e OICVM sono assoggettati ad un regime simile ma più complicato (di cui non parleremo);
  • gli ultimi dati disponibili della Ragioneria dello Stato (fine 2011) ci dicono che le entrate derivanti da imposte sostitutive applicate nella misura del 12,5% hanno portato 4,2 mld circa (5,2 mld previsti per il 2012).
    A noi interessano queste imposte sostitutive in particolare perché riguardano prevalentemente le persone fisiche e i fondi indicati poco sopra (ed eventualmente i non residenti "non white list").
  • la detrazione avviene quando dalle imposte dovute si può sottrarre (detrarre) un determinato ammontare.
    Ovviamente la detrazione può avvenire solo fino ad annullare l'imposta in questione, non oltre (non si può andare a credito).

In sostanza vediamo che lo Stato paga ha pagato circa 87 mld di interessi sul debito pubblico totale nel 2011 (previsti  intorno ai 96 mld quest'anno), che vuol dire circa il 4,5%-5% di tasso di interesse medio, incassando dalle persone fisiche, dai fondi di cui sopra e dai non residenti di paesi non white list circa 4,2 mld.
Perciò dei circa 90 miliardi interessi, pressapoco un terzo derivano da titoli appartenenti a famiglie, imprese e fondi a fronte di un rientro, in termini di entrate, di soli 4,2 mld. Sembra poco conveniente. Sembra, appunto, perché in realtà allo Stato comunque conviene farsi prestare, sia perché si è sempre fatto così per evitare di dover tagliare spesa pubblica o aumentare tasse (e infatti guarda che bel debito che abbiamo), sia perché i rendimenti offerti da alcuni titoli, soprattutto nei periodi non di crisi, sono talmente bassi che a volte non superano l'inflazione (fenomeno molto evidente negli anni '70), cioè il rendimento offerto (per es. 2%) è minore dell'aumento percentuale del tasso di inflazione (3%), per cui chi investe in realtà non riesce a coprirsi sufficientemente dagli effetti dell'inflazione (perché quello che ricevi compra meno cose di prima, sinteticamente).

Vale comunque la pena definire la proposta in questione, anche perché tanto è talmente sconosciuta e "particolare" che è ancora meno fattibile di un'uscita dall'euro.

Tralasciando i dettagli giuridici (comunque quasi tutti i titoli fanno riferimento alla legislazione nazionale), ipotizziamo che il primo gennaio 2014 il Governo annulli 214 mld di titoli di debito quotati (un valore corrispondente alla parte detenuta da famiglie e imprese), risparmiando 9-11 mld di interessi: poiché i titoli non sono equamente distribuiti tra tutti, potrebbe lasciare la possibilità ai possessori di portare a riduzione dalle tasse il valore dei titoli posseduti.
Si tratterebbe di una detrazione al 100% del valore nominale dei titoli dalle imposte dovute; nessuna perdita.

Gli effetti sul bilancio pubblico saranno di grande entità: si può pensare che in sede di previsione di spesa per il 2014 ci saranno indicativamente 10 mld in meno di interessi che potranno andare ad alimentare la spesa pubblica produttiva, generando un aumento di PIL nell'ordine dei 10-15 mld, che porterà maggiori entrate, o a riduzione delle tasse (che però porterà benefici di uguale entità solo se verrà usata per ridurre IVA o IRES, per motivi da discutere in altro post).
D'altro canto è imprescindibile lavorare sulla detrazione in questione, in quanto non è pensabile che in un solo anno sia possibile detrarre 214 miliardi, fatto che determinerebbe minori entrate per lo stesso importo (fallimento dell'equilibrio di bilancio, praticamente);
l'ideale sarebbe dare opportunità diverse a seconda che i titoli siano posseduti da imprese/autonomi o da persone fisiche, ipotizzando che i cittadini posseggano 160 mld e le imprese/autonomi i restanti 54:
per le persone fisiche si potrebbe dare la possibilità di detrarre dalle imposte (di solito IRPEF) il valore nominale dei titoli posseduti, prevedendo un limite massimo di 50.000 oltre il quale si scagliona in più anni (molto probabilmente sarà così in ogni caso, infatti per le prime fasce di reddito sarebbero sufficienti 10.000 euro per non pagarla); per le imprese (volendo anche per gli istituti finanziari, se coinvolti nell'operazione) invece non è necessario mettere alcun limite alla detrazione, perché il valore degli interessi concorre comunque a determinare il reddito totale dell'impresa (quindi stiamo parlando di valori molto più consistenti di reddito tassabile).

In questo modo è pensabile che nei primi due-tre anni la maggioranza dei possessori abbia usufruito quasi totalmente della detrazione, permettendo al bilancio pubblico di assorbire il colpo diluendo le minori entrate in circa 40-50 mld in meno all'anno.
Sembra un valore ancora inconcepibile, in realtà dobbiamo considerare che contemporaneamente si avrebbero i seguenti benefici:
- minori interessi per 10 mld circa l'anno;
- aumento del PIL in misura pressoché pari o superiore all'aumento di spesa pubblica conseguente o alla riduzione di determinate imposte (è la variabile più consistente tra tutte);
- dopo una prima fase di volatilità, la diminuzione degli interessi sui titoli in circolazione rimasti (quanto meno quelli a tasso variabile e le prossime emissioni), perché in situazioni normali la diminuzione di offerta di titoli ne determina un aumento del valore e una corrispondente riduzione del tasso d'interesse (relazione inversa valore dell'obbligazione e tasso d'interesse); passare anche solo da una media del 4,5% al 4% determinerebbe 7-8 mld in meno;
- i titoli in scadenza (310 mld nel 2013) dovranno essere solo in parte rinnovati (nel caso prospettato si parla di un ricorso al mercato per soli 96 mld in tutto l'anno).

Alcuni casi dubbi
Se immaginiamo un pensionato che ha investito tutti i suoi 10.000 euro in banca in BTP, possiamo immaginare che questi rimanga sostanzialmente senza risparmi in banca per un anno, in realtà la detrazione verrebbe calcolata a partire dall'anno stesso, su base previsionale, dai relativi sostituti di imposta (in questo caso l'INPS), che vista la particolarità dell'operazione giustificherebbe una detrazione contestuale (non un anno dopo come avviene di solito per le detrazioni fiscali), così che rimarrebbe sì senza risparmi, ma ogni mese a partire da quello successivo all'attuazione della proposta beneficerebbe di una pensione "più alta" per via delle minori tasse; per es. una pensione di 12.000 euro l'anno, che pagava 2520 euro l'anno di tasse (quindi 9480 euro netti) beneficerebbe ogni mese di 210 euro in più, recuperando i risparmi persi in 4 anni (se ipotizziamo che non abbia nessun altro reddito).
Più problematico il caso di qualcuno che non percepisce alcun altro reddito se non quello derivante dagli interessi dei titoli, per fortuna un caso raro (vivere di interessi di titoli di Stato richiederebbe il possesso di un valore almeno pari a 300 mila euro), in cui sarebbe forse consigliabile non attuare la proposta in questione.

Certamente tutti si preoccuperanno (giustamente) di eventuali emergenze "di liquidità" (in cui di solito si ricorre ai risparmi in banca), però la proposta è sicuramente migliorabile (qualche consiglio sarebbe ben accetto) e se ben sviluppata potrà tener conto anche di tali aspetti, nel frattempo non dimentichiamoci la stagnazione economica in cui viviamo e le prospettive non rosee anche per questo 2013 e della conseguente necessità perciò di attuare politiche di ampia portata.

Comunque sia la proposta in questione non è definita, anzi, data la sua novità è perfino più consigliabile agire in modo molto prudenziale, per cui invece di annullare esattamente tutta la parte di debito finanziata da famiglie e imprese si potrebbe dare la possibilità, su base volontaria, di portare in detrazione solo la parte di debito che si vuole annullare, in questo modo si è sicuri che non vi saranno squilibri troppo grossi nei "bilanci familiari".















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