giovedì 11 ottobre 2012

Tobin Tax, finalmente!

Il Governo ha confermato la sua volontà di introdurre la Tobin Tax nella Legge di Stabilità, principalmente per reperire ulteriori risorse e comunque in linea con la volontà europea. Per ora non si conoscono i dettagli ma sembra che l'aliquota sarà tra lo 0,5% e l'1% e dovrebbe colpire tutti gli strumenti finanziari tranne i Titoli di Stato (e forse le obbligazioni).

Che cos'è la Tobin Tax?
Si tratta di una tassa sulle transazioni finanziarie, teorizzata dal premio Nobel per l'economia James Tobin, che prevede l'applicazione di una modesta aliquota sulle transazioni valutarie (quindi nei mercati dove si contrattano scambi di valute, per esempio il FOREX); l'accezione originale di questa tassa era quindi la stabilizzazione dei mercati più che la previsione di nuove entrate (che ovviamente non guasta), in modo da colpire i flussi di capitale destabilizzante senza penalizzare i flussi di medio-lungo termine non speculativi.

Attualmente la sua introduzione è stata spesso richiesto come "prova" di voler colpire la Finanza sfrenata che ha causato la crisi, quindi al suo intento economico si è associato anche la volontà politico-sociale di far pagare la crisi a chi l'ha causata.
Diciamo pure che in linea di massima è davvero innegabile che le transazioni speculative debbano essere disincentivate e il modo migliore, più veloce e meno costoso per disincentivare un comportamento di questo tipo è tassarlo, in particolare la posizione di chi non vorrebbe una qualche forma di tassazione sugli strumenti derivati è davvero poco "difendibile" nel contesto finanziario; che poi si voglia estendere questa tassazione anche ad azioni e/o obbligazioni dipende dalle necessità e dalla situazioni in cui si trova lo Stato/i in questione (per esempio si estende alle azioni perchè in un certo periodo ci sono grandi movimenti destabilizzanti al riguardo).

Quelli contrari...
I sostenitori del NO portano spesso a sostegno il fatto che una tassa del genere, per quanto modesta, avrebbe l'effetto negativo di rendere poco liquido il mercato aumentando il costo per le aziende di emettere strumenti finanziari (perchè dovrebbero pagare un interesse più alto per renderli "appetibili"), favorendo un deflusso di capitali verso altri mercati esteri dove non vige tale imposizione e disincentivando perciò lo sviluppo del mercato finanziario (che in Italia è già poco sviluppato). Questi sono alcune delle critiche principali, in ogni caso il sopra riportato Paper raccoglie molti dei punti critici contestati.
Inoltre questi soggetti portano spesso ad esempio, monito anzi, il caso della Svezia, la quale applicò nel 1984 con una aliquota del 0,5% su azioni e stock options per frenare la speculazione finanziaria, ma con scarsi risultati in termini di maggiore gettito e con la conseguenza di un deflusso notevole di capitali.

Quelli favorevoli...
I pregi comunemente citati riguardano una maggiore stabilità dei mercati finanziari, una diminuzione delle attività speculative, un maggiore guadagno statale da destinare ad interventi molto più utili e necessari e il fatto che non implicherebbe alti costi di applicazione (solo per citare gli argomenti economici più comuni). Inoltre viene spesso ricordato che imposte più o meno simili sono già presenti in altri paesi, anche se non hanno carattere internazionale.

Alcune premesse
E' vero che non è stato ancora provato un forte legame statistico o econometrico tra costi di transizione e volatilità (quindi non è detto che introdurre una tassa sia stabilizzante); è vero che penalizzare le operazioni a breve termine colpirebbe anche i soggetti che effettuano scambi ad alta frequenza per gestire la proprio esposizione al rischio, riducendo la liquidità specialmente se il mercato è piccolo; è vero che le transazioni a breve termine servono anche a mantenere un continuo apporto di liquidità e ad "aggiornare" costantemente la quotazione del titolo adeguandola alle aspettative giorno per giorno; è vero (ma non è detto che accada) che in un mercato del genere ogni operazione avrebbe un effetto più forte sul prezzo e perciò la volatilità potrebbe aumentare in certi casi; è vero che stabilizzare le quotazioni di breve periodo non impedisce eventuali crolli futuri in caso di eventi di notevole portata (se c'è un terremoto in Giappone è evidente che le quotazioni ne risentiranno); è altrettanto vero che come tutte le tasse sarà probabilmente in tutto o in parte traslata sull'utente finale quando effettua una transazione finanziaria, per esempio riguardo il risparmio gestito o il costo del credito (certamente come tutte le imposte ci sarà un c.d. "eccesso di pressione tributaria" difficile da correggere, il quale andrà ad incidere sull'efficienza allocativa)...

...Ma nonostante tutti questi motivi sono favorevole alla sua applicazione sulle singole transazioni di acquisto/vendita (e NON solo sul saldo giornaliero) nel caso di strumenti derivati ed eventualmente azioni e titoli di debito pubblico. Perché?
Perché il problema che circonda questo tema è più "a monte" che "a valle", quindi gli effetti sono sicuramente importanti ma è meglio specificare i presupposti di partenza.
Primo punto: ipotizziamo per esempio una media impresa e una SIMse concordo sul presupposto per cui la creazione di reddito tramite l'attività di impresa ha ricadute positive sulla Società (in termini di occupazione soprattutto) molto maggiori di quelle derivanti dall'attività della SIM e produce ricchezza realmente, non solo nominalmente creando maggiore denaro dal denaro stesso, allora non potrò che essere d'accordo sul fatto che un attività del genere andrebbe incentivata e comunque dovrebbe essere meno penalizzata in termini di imposte rispetto all'altra (la SIM), perciò tra la scelta (ipotetica) di aumentare IVA o IRES oppure istituire/aumentare la Tobin Tax o la  tassa sul Capital Gain (e viceversa in termini di riduzione o di modifica complementare di entrambe) sarò più propenso a colpire maggiormente quell'attività che apporta minori benefici alla "Comunità", in quanto Stato.
Secondo punto: ma i derivati servono effettivamente a qualcosa? E inoltre è davvero più conveniente per un'impresa di medio-grandi dimensioni pagare qualcuno che si occupi della contrattazione di strumenti del genere e di un altro gruppo che si occupi di analizzare le strategie di acquisto/vendita, nonché le analisi di mercato (queste però vengono già fatte attualmente) e il sostenimento di eventuali perdite su trading, piuttosto che demandare questo compito con tutti i rischi connessi ad una qualunque banca o ente finanziario?
Il fatto è che dovendo scegliere tra chi/cosa tassare è evidente che strumenti del genere (e le relative attività che vi ruotano attorno) passano al primo posto nella "lista", e questo è stato già analizzato nel primo punto.  Se poi nella pratica tassare i derivati può causarne aumento del prezzo, illiquidità del mercato, difficoltà di vendita e contrattazione in generale questo non ci interessa minimamente; quello che voglio dire è che gli unici effetti che potrebbero effettivamente interessarci riguarderebbero più che altro l'indiretto aumento dei costi di alcuni degli strumenti finanziari più elaborati stipulati per esempio tra una banca e una medio-grossa impresa (Swap di vario tipo per esempio), ma in quel caso si può rimediare prevedendo una semplicissima detrazione/deduzione di parte di quell'onere finanziario dall'IRES (per dirne una).

In conclusione, tralasciando le categorie su cui vi sono più dubbi se applicare o meno la tassa in questione (quali azioni ed obbligazioni), dobbiamo però sottolineare che la sua applicazione nel campo dei derivati genera ben poche perplessità ed è ben poco difendibile.



Nessun commento:

Posta un commento